Come se non bastasse, quel giorno ogni precauzione per allontanare i fumi della fusione antimoniale fu vana; fortunatamente si era già al terzo matrimonio della Vergine con Marte, una fusione assai meno fastidiosa, ed avremmo ottenuto la Stella dei Saggi.  Sapevo già che la notte successiva non avrei dormito e che quel silenzio inesplicabile, antimoniale, mi avrebbe invaso. 

Armato di guanti appositi, presi le pinze e, spavaldo, feci capire che avrei tratto io il crogiolo dal forno.  “Stai attento!” Mi disse il Maestro indicando l’imboccatura del forno appena aperta da un Allievo. Infatti bastò quel mezzo minuto nel quale trassi il crogiolo fuori dal forno, che la montatura degli occhiali da sole quasi mi si impresse nella fronte. “Che idiota!” Pensai ad alta voce.  Comunque cogli occhi chiusi manovrai il tutto perfettamente. “La prossima volta… Una bella visiera in termoplastica!”

Così, distrattamente, ebbi conferito il sigillum, e mi accolse un coro di risate e di pacche sulle spalle, ma non mi lamentai della prosaicità della cosa.  Perché qualcosa mi si era sciolto dolcemente nel cuore, penetrato da quel calore bianco, e fu così che mi innamorai della Dama Celeste. 

Quel forno era esageratamente grande per un crogiolo così piccolo, ed essendo coibentato con lana di ceramica, in quell’istante, tutto fu ancora più bianco e spalancato.

È normale che ci venga in mente la chimica solo quando stiamo usando il bicarbonato di sodio o se ci rammentano che l’acqua è H₂O, però non viene da sé considerare che il mondo sia fatto come quello che ci hanno detto a scuola, perché prima degli atomi e delle molecole arrivano nella nostra immediata percezione i fenomeni, e quindi ci giunge lo spazio che li ospita e che li anima misterioso.

L’Alchimia invece?  Quella significa un sacco di cose ma soprattutto un senso profondo di fusione di due cose o di una cosa con tutto.  E la prima relazione è fra lo spazio e le cose, il cielo e la terra: qui è il mistero delle acque inferiori e di quelle superiori e di come sono rapprese nella radicale umidità di tutti i metalli.  Vai avanti comunque: noi tutti capiamo soltanto al momento opportuno, ma l’intelligenza che sta creando il mondo ti sostiene attraverso le mie parole e ravvivando il tuo ascolto.                           

L’altro nome dell’Alchimia è Con-Fusione, quello segreto è Amore.

 L’Alchimista è il Kibernetes, il nocchiero sublime, il Fattore, inteso come  Agricoltore Celeste, il Pilota dell’onda viva*.

È evidente che non esisterebbero sostanze propriamente dette “alchemiche”, semmai sostanze ottenute con procedimenti ignoti alla chimica contemporanea, per la quale alcune specificità di certe sostanze alchemiche sono considerate una sorta di complicazione o contaminazione che va eliminata; il che sarebbe come “ripulire” la fetta di pane dal burro e dalla marmellata che vi abbiamo appena spalmato preparando la colazione.

Ma la vera differenza fra reagente chimico e sostanza alchemica può essere determinata dall’attenzione di chi guarda, cioè può dipendere da una diversa osservazione dell’effetto terapeutico o di interazione con altre sostanze:  se non te lo aspetti non vedi l’effetto, o lo diluisci per una inconfessabile, indebita paura.

Infatti può succedere che solo l’Alchimista si accorga di alcune cose: giustamente Alexander Von Bernus**, osservava che gli Alchimisti non sapevano che il tartaro quando è calcinato, come qualunque erba che venga, cioè, resa cenere e poi lisciviata, produceva approssimativamente potassa, cioè carbonato di potassio, e che tale sostanza può essere prodotta anche da un trave di legno quando fosse anch’esso calcinato.  Però conoscevano le proprietà delle diverse ceneri di piante, cosa che i chimici non hanno mai considerato, presi dall’aspetto teorico della formula quasi simile: sapevano che, ad esempio, i sali estratti dal rosmarino calcinato curano lo stomaco e il cuore, e che se poi vengono resi magnetici hanno ancora altri effetti catturando l’umidità atmosferica.  Ne parlava già l’arabo Jabir, che fu tradotto da Braccesco***, che oramai lo chiamava Geber.

Geber/Jabir ibn Hayan  ritratto in un Codice Ashburnhamiano,1166, Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze            

Il nome di Jabir è legato alla Cavalleria Islamica, al Sufismo, All’Alchimia e alla tradizione Tantrica del Kashmir, dato che Jabir – proprio con questo nome – è citato anche come Maestro Tantrico specializzato****, guarda caso, in metodi alchemici di aumento e conservazione dell’energia vitale: al punto da essere considerato dai tibetani come il primo dei Maestri di Ciulén, cioè del Rasayana alchemico indiano, che sarebbe poi diventata la pratica del ciulén col relativo uso dello Tsotru, ovvero del mercurio purificato e rivivificato.  Pare che il suo nome tantrico in lingua sanscrita fosse stato Manikanatha, che lo renderebbe un Nath, appartenente alla stessa linea degli ottantaquattro Siddha, quali furono Goraknath e – secondo il mio modestissimo parere – Guru Rimpoche Padmasambhava e Bodhidharma. Di quest’ultimo farebbe fede la biografia come è narrata ancora in Cina e – più che mai – l’iconografia.

Un monaco buddhista non va in giro con le anellone alle orecchie e i capelli lunghi.  

Note

*”La pietra filosofale. Il pilota dell’onda viva” Lambsprinck e Maturin Eyquem Du Martineau Edizioni Mediterranee, 1984

**Vedi: Von BernusAlchimia e Medicina – Il fuoco segreto e il mistero della guarigione” – Mediterranee – 1998

***Vedi: Braccesco-GeberLa Espositione di Geber Filosofo” Arché- 2021 – Milano

****Vedi: Michael WalterJabir the Buddhist Yogi” – Grub-pa ‘i-dbang-phyug Dza-ha-bhir yi gdams ngag thus mong ma yin pa , “The extraordinary teaching of Siddhesvara Jabir,”. A revelation to Mkhyen- brtse’i-dbang-phyug (see fn. 31), ordered written down by Stobs-ldan- ’od-zer. (405—408.3) 2. A profound teaching on the immortal bhru wind, an experiential commentary (snyams khrid). By Mkhyen-brtse’i-dbang-phyug. The transmission is as follows: Padmasambhava Jabir — Brahmanatha — Manikanatha -► Mkhyen-brtse’i-dbang-phyug Byams-pa-skal- bzang Dbang-phyug-rab-brtan Khyab-bdag Zha-lu-pa Rgyal- dbang Lnga-pa-chen-po (the Fifth Dalai Lama; see fn. 32) -► Rig-’dzin Padma-phrin-las, etc., until Kong-sprul (1813—1899). (—414) Volume 48 of the Rin cheri gter mdzod (Rinchen Terzod) and volume 11 of the Sgrub thabs kun btus1 contain groups of texts centering around one Dza-bir or Dza-ha-bir. This is certainly the Tibetan rendering of the Arabic name Jabir, referring in particular to Jabir ibn Hayyan, the Islamic alchemist who lived from ca. 721 to 815 A.D. Michael L. Walter Ph.D. (1980) in Central Eurasian Studies, Indiana University, is Librarian of the Lumbini International Research Institute (Lumbini, Nepal) and a cataloger at Indiana University Libraries. He has published on Tibetan religion and traditional sciences.

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